Teologia e filosofia morale in San Bonaventura e Ruggero Bacone

Biograpia-Eng
Cap. I-Morale e teologia nel secolo XIII
Cap. II-Filosofia morale e utopia in Bacone
Cap. III-Filosofia e teologia
conclusioni

CONCLUSIONI  

 

         Il conflitto tra teologia e filosofia morale in relazione all’opera di due pensatori medievali quali Bonaventura e Bacone non presenta, negli esiti della nostra ricerca, la contestazione del primato della teologia da parte dello stesso Bacone. Egli, pur nel suo zelo polemico, non intese affatto dubitare della sostanza e degli attributi maiestatici della teologia come regina delle scienze, soltanto egli volle additare le insidie e le trappole di una certa teologia dialettizzante che vantava superbe pretese di egemonia. Il disordine della teologia presente passa attraverso le cause morali di un errore proliferante, per cui l’opposizione alla teologia è, in Bacone, cifra di un atteggiamento morale contingente, da cui scaturisce la veemenza della sua proposta.

         La riforma degli studi diventa, pertanto, nei suoi fini, riforma di una forma storica e non definitiva della teologia, che non corrisponde a ciò che questa è in sé, nemmeno a partire dalla sapienza premeva e divina rivelata ai patriarchi, ai profeti e ai filosofi. L’opposizione di Ruggero Bacone si manifesta più nei confronti di una scienza del divino, o teologia, così come essa si è concretamente realizzata negli studi e nelle opere dei maestri del tempo, piuttosto che nei confronti di forme di sapere irriducibili alla teologia, intesa come sapientia christiana, opposizione altresì condotta da Bonaventura.

         La filosofia stessa non è per Bacone che un precorrimento, in senso storico, della rivelazione, e in quanto tale essa può aiutare a dispiegare una sapientia christiana, che la ragione umana non può contenere per la sua infinita perfezione.

         La polemica di Bacone è, pertanto, estremamente mirata e trae sostanza da considerazioni morali, che, a loro volta, hanno preso alimento e conforto dalla lettura di opere pseudoaristoteliche, come il Secretum secretorum. Da qui egli inferisce e giustifica la contrapposizione tra una determinata e attuale forma storica della teologia e la teologia in sé e quale deve essere rispetto alla sua norma e ai suoi fini, non ultimi quelli politici in senso lato.

         A questo punto si deve precisare il ruolo della filosofia morale, anzi della moralis philosophia, rispetto al primato tetragono della teologia, che Bacone afferma distintamente usando l’attributo nobilissima rispetto al nobilior, conferito alla filosofia morale. In certo qual senso questa funge da preambolo al discorso teologico, ossia in quanto scienza morale essa deve garantire, più di ogni altra disciplina, la rigenerazione e la purificazione dei costumi, condizioni imprescindibili per affrontare degnamente la theologia perfecta. In questo senso si individua una precisa corrispondenza tra le parti della summa disciplinarum proposta da Bacone e in particolare tra la prima e l’ultima parte dell’Opus maius. Il filo conduttore dell’intera opera è la riforma degli studi, conseguentemente l’ispirazione della riforma deve essere di natura morale; non a caso la prima sezione dell’enciclopedia è dedicata alle cause di errore, attribuite a specifici abiti morali, e la settima ed ultima parte è, appunto, la Moralis philosophia, che chiude perfettamente il circolo della trattazione.

         Evidentemente il legame più intimo è appunto tra l’ispirazione e la conclusione dell’opera, che è anche il principio e la fine del progetto di riforma.

         L’insostituibilità della teologia come regina delle scienze, qualora ne siano emendati i vizi, emerge ulteriormente proprio dalla sua ultima opera, il Compendium studii theologiae, dove l’eliminazione degli errori viene pragmaticamente concentrata sulla teologia intesa come esegesi della Scrittura, a partire dalla conoscenza della lingua, come sistema di segni, e delle lingue particolari. Da ciò si può dedurre che, sino alla fine, Bacone era convinto che gli esiti della riforma morale dovessero sostenere il ritorno della teologia all’esegesi, riducendo da ultimo lo studio delle singole discipline, e in particolare della linguarum cognitio, in strumento della scienza della Sacra Scrittura, come egli effettivamente afferma nel Compendium studii theologiae.

         Tale concezione della scienza teologica come esegesi è, pertanto, estremamente, radicale nel suo ritorno alle origini e nella volontà di sostenere un quadro delle scienze finalizzato alla teologia come parte della Sacra Scrittura; ma, proprio per quest’ultimo tratto, è anche estremamente fedele alla tradizione agostiniana delle artes e della sacra pagina, illustrate nel De doctrina christiana. Da un lato, quindi, la teologia è collegata alla metafisica, che mostra l’esigenza di una scienza superiore a partire dall’indicazione dell’ordine delle cause, dall’altro essa è intima alla Sacra Scrittura, come scienza pratica che si occupa dell’ultima destinazione, cioè quale guida alla salvezza e alla beatitudine. La cosiddetta novità della proposta baconiana sta piuttosto nell’aver sottolineato, a partire dalla precedente distinzione e dall’assimilazione della filosofia alla rivelazione, il connubio di moralis philosophia e teologia.

         Senza dubbio la dottrina agostiniana dell’illuminazione costituisce il riferimento essenziale di una dottrina, quale quella baconiana, che pone la filosofia quale modo dell’esperienza dell’illuminazione, non precisandone, peraltro, in questo caso, la gerarchia dei gradi. Il fatto che Bacone, tra tutte le scienze, ponga proprio la morale alle soglie della teologia è effetto di una dottrina psicologica, che non segna una netta e necessaria distinzione tra certi effetti dell’illuminazione naturale, quali i precetti della morale pagana, e quelli donati dal lume della grazia e della gloria divina, possibili solo nella fede in Cristo.

         Tuttavia è proprio questa fede nella continuità storica e dottrinale a suggerire a Ruggero Bacone un’impostazione sui generis dell’etica, tradizionalmente trascurata non nel paradigma, bensì nell’effettivo studio delle arti liberali nel Medioevo. L’Ethica di Aristotele era presente nelle facoltà delle arti con un discreto numero di versioni, traduzioni parziali e commenti già prima della metà del secolo XIII; infatti la lettura di quest’opera fu favorita dall’assenza di censure, al contrario del libri naturales, proprio perché veniva interpretata senza particolari questioni, quasi come una sorta di canone morale perfettamente compatibile con quello della Bibbia. All’Ethica di Aristotele (e parliamo genericamente di Ethica per distinguere queste versioni parziali dall’Etica Nicomachea) accadde qualcosa di analogo alla tradizione degli studi di logica; come questa, pur essendo tratta dall’Organon aristotelico, fu indagata indipendentemente dal sistema metafisico di riferimento, quasi ne fosse scorporata, così l’etica del Filosofo divenne nelle facoltà delle arti motivo di esercizio intellettuale analogo alla dialettica. Sostanzialmente questa tendenza viene, a mio avviso, confermata dagli stessi esiti dell’aristotelismo eterodosso e da maestri come Sigieri, che facevano dello studio della filosofia e delle sue parti, non motivo di ricerca della verità, ma motivo di ricerca delle opinioni e delle auctoritates filosofiche. Se tale fu la principale giustificazione di Sigieri e di altri, che in questo modo dichiaravano di precludersi il dominio della verità arrogato dalla teologia, diversa doveva essere la sorte di Bacone.

         Egli violò la tradizionale scorporazione di alcune parti della filosofia dei pagani, per inserirle in un progetto enciclopedico, che aveva quale fine la renovatio Sapientiae et Ecclesiae; inserendo queste discipline in un sistema organico, coordinandole ad un fine e mostrandone i reciproci collegamenti, egli certo infrangeva un isolamento ormai canonico; ma, pur avendo il merito personale di aver fatto emergere l’etica come disciplina basilare e non solo come astratto esercizio di scuola, egli ha involontariamente offerto il fianco alle legittime contestazioni della sua utopia sapienziale. Come la filosofia in sé doveva suscitare circospezione e sospetto da parte degli amanti della fede, così la stessa non poteva pretendere un ruolo nel quadro generale della teologia, ovvero della sapienza cristiana, se non abiurava a tutti i suoi errori.

         Bonaventura, che aveva in dote una coscienza teologica molto più matura rispetto al suo confratello Bacone, si avvide delle insidie dell’autonomia filosofica testimoniata dall’aristotelismo, qualora questa avesse iniziato a contrapporsi alla teologia e ad assolutizzare la verità di cui era in possesso. Non era affatto sufficiente negare ingenuamente tale incompatibilità, ma occorreva individuare fermamente le radici dell’errore; se, dal punto di vista gnoseologico-teologico, l’errore è dalla parte della ragione, allora le radici di questo sono nella natura dell’attività filosofica, opera della ragione.

         La riorganizzazione dell’architettura del sapere, alla luce delle recenti acquisizioni aristoteliche ed arabe, poneva problemi più complessi rispetto alla semplice trattazione singolare e monografica di discipline non conosciute nella loro integrità.

         Il loro inserimento all’interno di un sistema già dato, come quello fondato sulla fede cristiana, e la loro giustificazione teologica ponevano serie difficoltà alla coerenza del sistema stesso, soprattutto quando le dottrine filosofiche venivano trattate integralmente e senza censura dell’incompatibilità con la fede. Proprio per questo motivo il contrasto tra Bonaventura e Bacone è fondato sulla reciproca nozione dell’aristotelismo e, come si è già rilevato, sulla teologia della storia.

         Dal momento che Bacone pone una sostanziale continuità tra tempo della ragione e tempo della rivelazione, considerando addirittura questa anteriore all’avvento di Cristo, allora le scienze dei pagani entrano nei ranghi della sapienza cristiana, facendo della teologia stessa una sorta di effetto dell’esplicazione delle altre scienze. L’insidia maggiore stava, quindi, nella considerazione teologica non tanto della morale in generale, ma piuttosto della morale dei pagani, quasi che i precetti di questa potessero essere più efficaci e vincolanti degli stessi dieci comandamenti. In questa direzione la sapientia mondana, tanto osteggiata da Bonaventura, veniva ad inficiare il valore della teologia, non come esercizio corretto della ragione e della vera filosofia, ma come sentina di vizio e di errore.

         Se Bacone muove la moralis philosophia dal nido delle consuete arti liberali, invece Bonaventura ritiene più opportuno lasciarla nel quadro delle scienze in generale, e quindi della filosofia, preambolo alla teologia; questo perché Bacone modifica la filosofia nel senso della rivelazione, mentre Bonaventura, pur sostenendo il loro concorso, ritiene che fede e ragione siano radicalmente distinte.